La Città della Gioia
casa mariolina

Racconti da Casa Mariolina

“La regola infame di tutte le società elimina il diverso, colui che non è come gli altri, deformato nel corpo o insano nello spirito”. Pensavamo che una generazione di benessere potesse cancellare secoli di fatica e povertà materiale. Non è così. Il binario della vita è ancora abbastanza stretto da non consentire deviazioni. C’è qualcosa di più profondo.

Mi accorgo di tutto ciò quando entro a Casa Mariolina, la casa di prima accoglienza della nostra città, e non è mai la stessa cosa. Chi arriva lì non lo fa soltanto per un pasto caldo o perché necessita dei pochi beni materiali che possiamo offrirgli, ha bisogno di ascolto, calore umano e un po’ di attenzione. A venir meno nella società di oggi sempre più spesso sono gli affetti, da questa mancanza nascono difficoltà talvolta insormontabili appena qualche ingranaggio della vita non gira più per il verso giusto, una separazione, la perdita del lavoro, alcol, droga. La crisi ha destabilizzato equilibri delicati e allora gli “utenti” sono sempre più numerosi, a pranzo alla mensa e poi la sera a Casa Mariolina. Si può rimanere solo dieci giorni, i volontari si alternano quotidianamente, così è difficile instaurare un vero rapporto nel poco tempo a disposizione e considerata la barriera che comunque c’è, i ruoli sono ben definiti, volontario e ospite, per salvaguardare l’organizzazione, inutile negarlo. A Casa Mariolina si è ascoltati, è il bello di una disponibilità che per strada, durante il giorno, è difficile trovare da soli in città. La sera tutto rallenta e, seduti intorno al tavolo, passata la confusione della cena in gruppo, si apre un altro mondo, spesso in compagnia del volontario della notte.

Il passante che per giorni cammina frettoloso pensando solo alla prossima meta, oppresso dal pensiero su dove trascorrere la notte successiva, può finalmente liberarsi di parte del suo peso. La sera può essere il momento dello sfogo, dell’ascolto, della riflessione, dei pensieri e delle idee per il futuro. Durante la bella stagione le serate intorno al tavolino, nel piccolo giardino sul retro, sono l’occasione per discutere insieme su come rialzare la testa, riorganizzare le speranze e sognare qualcosa di più, magari accompagnati dalla chitarra del suonatore di strada di passaggio in città, perché senza una meta non si sopravvive a lungo.

“Potessi avere il potere di leggere nei cuori, cercherei di lenire le tue pene, passante affannato che trascini il tuo fardello d’infelicità”. Di tanto in tanto mi capita di leggere qualche verso lasciato da ospiti che il più delle volte non si firmano neppure, non vogliono o sentono il bisogno di essere ricordati. O forse nella vita hanno lasciato per strada qualcosa di sé senza mai ottenere nulla in cambio, e per quello si trovano lì.

I turni con gli ospiti che tornano a Casa Mariolina da più tempo sono quasi cene di famiglia. Tornano ogni quattro mesi, come da regolamento, precisi come orologi svizzeri. Forse hanno dimenticato il nome dell’ex moglie che li tiene lontani dagli affetti più cari ma sanno benissimo quante notti possono pernottare e quando possono rientrare la prossima volta in ogni casa d’accoglienza. E’ il triste destino del turismo dei senza dimora, costretti a spendere gran parte delle energie residue per cercare un alloggio per i giorni successivi. Anche da qui nasce la guerra tra gli ultimi, per stanchezza o per invidia, con un razzismo strisciante fondato su diversità fittizie.

La crisi che da un decennio ha tolto certezze un po’ a tutti colpisce soprattutto chi è ai margini e chi ha sbagliato. Gli ospiti di oggi sono molto più vari rispetto a qualche anno fa per provenienza sociale e geografica, persone sole, padri separati, migranti. Le famiglie sempre meno numerose sono il principale taglio allo stato sociale e di questo ce ne rendiamo conto quando vediamo persone come noi entrare a Casa Mariolina solo perché nessuno le ha fermate quando stavano per sbagliare, nessuno le ha aiutate prima che finissero per strada.

Gianpaolo